Dato che recentemente è uscito il secondo libro di una saga che a dir la verità avevo iniziato a scrivere molto tempo fa, volevo approfittarne per condividere quella che si potrebbe considerare la sua storia (non tanto quanto concerne la trama, ma più quello che ne è stato lo sviluppo).
Per fare ciò bisogna tornare a quando avevo all’incirca diciassette o diciott’anni; prometto che questo breve excursus, iniziato in un modo dickensiano, ha uno scopo. Mi sono sempre considerato un discreto lettore, non eccessivamente vorace, ma abbastanza per farmi un’idea di quella che indicherei come Letteratura Mondiale; avevo la curiosità per vedere ciò che si scriveva nei vari angoli del globo, e se non leggevo i libri in questione, quantomeno mi informavo per vedere cosa contenessero. Verso i diciotto mi capita quindi di sentire che un certo Christopher Paolini avesse scritto il suo libro a quindici o sedici anni. Ora, ammetto che Eragon rimane uno di quei volumi al quale tutt’ora non mi sono avvicinato – banalmente c’erano altre cose da leggere. Il fatto che lo scrittore fosse così giovane aveva comunque acceso una lampadina sopra la mia testa (Cartoon Network docet insomma). È stata forse più una sfida oppure una voce interna che aveva detto ‘come, uno più giovane di me ha scritto un libro e io no’ a spingermi a diventare uno scrittore. Certo, sono convinto che ci siano molti scrittori che hanno scritto libri anche molto più importanti da una età anche più precoce, ma esiste pur sempre un certo spirito di competitività e di orgoglio dentro di me – nonché una certa quantità di ego costruito – che mi ha spinto a competere. Questo ego tra l’altro, vorrei precisare, è un mio modo sia per giustificare alcune cose che faccio e sia per ironizzare, altrimenti sembrerei un montato e basta. Quindi quest’episodio segna l’inizio: prendo la decisione che entro i diciott’anni scrivo il mio primo libro. Numero completamente arbitrario perché all’epoca mi sembrava simbolico.
Quindi mi avvio all’impresa con il mio bagaglio di letture e la mia dimestichezza non trascurabile in fatto di film, serie televisive e anime (non posso dirvi quanto tempo ci ho dedicato, ma vi posso assicurare che nello stesso tempo avrei potuto raggiungere l’illuminazione che un monaco tibetano raggiunge in una vita – anche due volte di seguito). Non ricordo i passaggi precisi, tutto ciò che ricordo e che di punto in bianco inizio a scrivere. L’idea per la costruzione del mondo, per quanto banale possa sembrare, sfruttava quella frase che solitamente veniva detta nei film per spronare le persone e creare lo scenario immaginario di un potenziale vastissimo e incompiuto. La citazione era la semplice ‘l’umo non usa tutto il suo potenziale cerebrale’. Invento quindi una élite di persone in grado di sfruttare questo potenziale, faccio sì che loro siano i buoni che aiutano la Terra da dietro le quinte e così nasce Athena (il nome dell’associazione di queste persone); creo però di conseguenza anche la sua parte antitetica, perché così come avevo imparato da molti anime e film, bisogna sempre avere la dualità.
Non mi dilungo sui personaggi e su quello che succede loro, anche perché qui non sto facendo un riassunto. Comunque, con la mia ambientazione creata bisogna mettere anche un po’ di azione per giustificare quello ‘sti qui fanno e così il libro diventa una specie di 007. Creo il protagonista, uno degli agenti di Athena, per essere un quindicenne impertinente, arrogante e forse un po’ troppo intelligente per il proprio bene (se il personaggio vi sembra già fastidioso, forse allora sono riuscito a scriverlo bene). Piccolo problema: non solo esagero un po’ con la parte dell’azione, ma inizio a mettere delle battute che si potrebbero trovare nei film di serie B e riferimenti musicali rock in base ai gusti personali. Insomma, il libro sembra scritto più per essere un copione cinematografico che altro. Vi ricordo, era la mia prima esperienza (questo però non è per dire che ora io sia migliorato di molto).
Ecco dunque il libro scritto, ora la grande domanda è come fare a pubblicarlo. Senza informarmi troppo inizio a inviarlo ad alcune case editrici delle quali non farò il nome, agenzie che ora considero dei semplici ingranaggi economici; ricevo persino una o due proposte di contratto a patto che io stesso mi compri prima un centinaio di copie. Non vi dico la mia risposata dato che non sarebbe troppo elegante, basta dire che da parte mia era un grande mazzo di NO a questo autofinanziamento ingiustificato.
Il sunto della situazione per arrivare a effettivamente pubblicare Athena all’incirca dieci anni dopo è questo: mi iscrivo alla facoltà, ogni tato continuo a scrivere ma sporadicamente, faccio progetti di qualsiasi tipo, finisco in un laboratorio di scrittura creativa a cura di Ennio Sartori, pubblico un piccolo raccontino con Cleup in base al laboratorio prima accennato, e infine, grazie ad un concorso letterario, Edizioni Montag mi propone un contratto regolare per il mio primo volume. Ci sarebbero altre cose da dire nel mentre, ma penso che vi stia già annoiando abbastanza.
Con Athena però, per via di una casualità, arriva anche la più grande soddisfazione che riceverò mai nella mia ‘cariera’ da scrittore. Non parlo del libro stesso, o dei soldi (dato che stiamo parlando di un totale di meno cento euro), ma parlo di una cosa che per me è stata inaspettata. Avevo chiesto a Dani, il mio barista di fiducia a Padova, di acquistarmi una copia per aiutarmi a raggiungere la quota di libri che mi serviva per essere pagato (cinquanta copie totale – raggiungere il numero è stato importante come pietra miliare e non tanto come discorso economico). Insomma, uno delle solite mattine arrivo al bar verso le cinque e mezza per dare una mano, mettere fuori le sedie e i tavoli per dopo accomodarmi a lavorare su altri progetti; era una delle mie abitudini per via di varie notti insonni che mi portavano a certi orari. Alla fin fine uno non sa cosa fare alle cinque del mattino e quindi decide di andare al bar, no? Comunque verso le sette e mezza arriva anche uno dei figli del barista, un piccolo-grande lettore. Dal mio tavolo vedo questo dodicenne che in una mano reggeva uno zaino che stava per scoppiare (le scuole continuano a richiedere sette antologie, tre dizionari e i papiri perduti della biblioteca di Alessandria per svolgere due ore di italiano) e nell’altra mano reggeva il mio libro, segnando con le dita la pagina alla quale era arrivato. Non importa quanti libri (e se) riuscirò ancora a pubblicare, quanti progetti riuscirò a portare a termine o quali saranno le future gratificazioni se ci saranno, io considererò sempre quel momento come il punto più alto. Qualsiasi altra cosa sarà un bonus.
Detto questo, il secondo volume arriva grazie proprio a quel dodicenne. Un’altra mattinata lo incontro, parliamo un po’ di libri dato che aveva già finito il mio e gli chiedo “leggeresti il secondo se lo scrivessi?”. E lui mi risponde con un semplice e laconico ‘sì’. Ecco quindi il secondo volume, scritto poco più di dieci anni dopo, dove cerco di aggiungere una dimensione un poco più introspettiva ai miei personaggi rimanendo però sempre fedele allo spirito di avventura, esagerazione e musica rock del primo libro.
Devo confessare una mia impressione nata durante la fase di correzione, sia per il primo volume che per il secondo: mi sembra che l’incipit sia più lento di quanto mi piacerebbe. Prendo del tempo per far capire chi siano i personaggi e descrivere il loro mondo, solo per dopo passare alla parte più divertente e dinamica. Non so se questo potrebbe fermare alcuni lettori dal proseguire oltre il primo o secondo capitolo, ma spero nella loro pazienza. Non direi necessariamente poi che la parte di avventura meriti l’attesa, ma i momenti di pura esagerazione hanno il loro senso all’interno del mondo costruito e spero che l’ilarità dei momenti sdrammatizzanti funzioni bene.
Ora non mi resta che lavorare sul terzo; l’idea di Athena era pur sempre di scrivere una trilogia, quindi a quello quantomeno rimarrei fedele. Come procederà e come andrà a finire ve lo potrò dire solo una volta che avrò iniziato a scriverlo. Tanto, in fase di lavoro, tutto cambia in base alle righe che scorrono sullo schermo.
Spero di non avervi annoiato troppo e vi auguro una buona lettura, non per quello che scrivo io, ma per qualsiasi altra cosa che avete tra le mani.