Non vi annoierò con i dettagli biografici degli attori o del registra di questo grande classico; Humphrey Bogart e Ingrid Bergman non hanno bisogno di introduzioni. Inoltre, non mi dilungherò sull’impatto che ha avuto un film del 1942 e che raffigura anche alcune delle dure realtà vissute durante quel periodo.
La cornice narrativa è molto diretta:
“All’inizio della Seconda guerra mondiale, molti occhi dell’Europa oppressa si volsero pieni di speranza o di angoscia verso la libera America. Lisbona divenne il grande centro d’imbarco. Ma non tutti erano in grado di raggiungere direttamente Lisbona; molto spesso ai profughi rimaneva la sola alternativa di un lungo, tortuoso giro. Da Parigi a Marsiglia, quindi a Orano attraverso il Mediterraneo, poi lungo la costa africana fino a Casablanca nel Marocco francese. Qui i fortunati, attraverso soldi, influenza o fortuna, avrebbero potuto ottenere un visto d’uscita e affrettarsi a raggiungere Lisbona. E da Lisbona il nuovo mondo. Ma gli altri aspettano in Casablanca. E aspettano…e aspettano…e aspettano.”
In meno di un minuto il film ha già predisposto l’essenziale; persino il narratore, enfatizzando quelle ultime parole, proietta il senso di orribile angoscia che stava ghermendo l’Europa sempre più strettamente. L’attesa, la disperazione, il barattare e l’importanza di avere qualcosa con cui barattare, tutti questi elementi segnano in parte la realtà di quel periodo. Per quanto questi temi siano importanti, tuttavia nel film creano solo l’ambientazione; in fondo, la vera storia è una di amori e di adii (e se per quello una delle più belle mai scritte, a mio avviso).
La maggior parte dell’azione avviene dentro il Rick’s Café Américain. Il locale stesso pullula di vita e vivacità secondo le caratteristiche degli anni ‘40: dagli abiti sgargianti e frac bianchi, al costante bere e fumare visti come consuetudini sociali, ai musicisti che suonano dal vivo e dal gioco d’azzardo compulsivo alla corruzione più palese. Questo era il cuore di Casablanca.
Rick Blaine, il proprietario del locale, è interpretato da Humphrey Bogart; è il tipo di uomo al quale, in tutta apparenza, non interessa dei problemi degli altri, perché in fondo lui “non rischia il proprio collo per nessuno”. È arrogante, cinico, schietto, senza scrupoli e preferisce non parlare del suo passato; nonostante ciò, ha un fascino inimitabile. Bogart è nato per questo genere di ruoli, specialmente se messi a confronto con altre interpretazioni simili in genere noir come Sam Spade o Philip Marlowe (nota aggiuntiva: Chandler è uno scrittore geniale). Inoltre, il suo atteggiamento da spaccone è amplificato dall’umorismo secco delle battute che fa mantenendo sempre una faccia seria. Quando gli viene chiesto perché si trova a Casablanca, lo scambio è:
-Sono venuto per le terme.
-Ma siamo nel deserto.
-Sono stato mal informato.
Un altro esempio di questo botta e risposta divertente:
-Dov’eri ieri sera?
-È passato troppo tempo da allora, non me lo ricordo.
-Riuscirò a vederti questa notte?
-Non faccio mai piani così in là nel futuro.
La storia è narrata più dagli sguardi, dalle sbirciate, dalle occhiate, e dalla intensità degli occhi dei due protagonisti. Prima ancora di essere informati di una relazione tra Rick Blain e Ilsa Lund attraverso i loro dialoghi, ne siamo già a conoscenza per via di come i due si guardano.
Ilsa Lund, interpretata da Ingrid Bergman, apporta alla scena la sofferenza di una vita passata. Le ragioni per cui Ilsa ha dovuto abbandonare Rick a Parigini per aiutare un altro uomo, nonostante il suo amore e la genuinità di esso, ci diventano chiare da un bagliore nei suoi occhi inumiditi più che dalle sue parole.
Il dolore e la tristezza dei due protagonisti porta loro ad avere alcune delle più belle interazioni nella storia del cinema. Dato che Rick si è sempre immaginato di essere stato tradito da Ilsa, in un momento di amarezza le sue parole piene di rancore feriscono Ilsa; pochi momenti dopo, quando lei ha abbandonato la scena, si potrà vedere quanto lui rimpianga ciò che ha detto.
C’è una scena che vorrei mettere in risalto. Verso la metà del film arrivano nel locale di Rick due giovani Bulgari, sposati da poco, che stanno cercando di andare in America come gli altri. Lui, seguendo il consiglio del capitano della polizia, inizia a scommettere i pochi soldi che ha per poter pagare i visti d’uscita. Lei, vedendo che suo marito sta perdendo, chiede a Rick un consiglio (non un favore o dei soldi): vuole sapere se il capitano è un uomo di parola e se provvederà i visti promessi. Inoltre chiede se un marito sarà mai in grado di perdonare una moglie per un torto che questa ha una sola volta nella sua vita. Il discorso rimane appositamente vago, ma pur non esplicitando la cruda realtà, questa si capisce perfettamente. Nonostante il comportamento da arrogante e spaccone, ormai abbiamo capito che è tutta una farsa, una semplice maschera per proteggersi dal mondo nel quale vive; Rick aiuta la coppietta facendo sì che il suo stesso croupier bari alla roulette, rimettendoci di tasca propria. La scena è a dir poco commovente.
Un ultimo dettaglio da aggiungere, anche perché non ho intenzione di parlarvi ulteriormente della trama e tantomeno rovinarvi il finale, riguarda la musica. As time goes by, originariamente composta nel 1931 da Herman Hupfeld (l’ho dovuto cercare su Google – anche perché immagino che la maggior parte delle persone, me incluso, conosca questa canzone per via di Frank Sinatra), è un brano che calza a pennello con i temi rappresentati.
Per concludere con una frase del film, here’s to looking at you kid…
Darei a questo film un 9 cuori sentimentalisti su 10 gusci cinici (ammetto che in inglese funziona meglio).
Versione articolo in lingua inglese: https://quirkyhorizons.com/and-we-will-always-have-casablanca/