Un confronto tra Mann e Buzzati
Perché fare un paragone tra Morte a Venezia e Il deserto dei Tartari? Anche se i due libri sono stati pubblicati a circa trent’anni di differenza l’uno dall’altro, il divario stilistico tra di essi è notevole: Mann adopera uno stile linguisticamente ricercato che tende a mettere in risalto la propria eloquenza e smania di superiorità mentre Buzzati mira ad una particolare semplicità che intreccia con la chiarezza di dialoghi che non vogliono celare nulla ai lettori. Tuttavia le due opere sono legate assieme da certi nuclei tematici che cercherò di approfondire.
Con questo articolo preferisco concentrarmi solo su determinati aspetti e in maniera parzialmente soggettivistica (in quanto si tratta anche di riflessioni annottate in seguito ad una lettura di carattere personale), citando alcuni passaggi dei libri, ma tralasciando temi che sono già stati ampiamente citati, dissezionati e analizzati.
Dando per scontato una conoscenza quantomeno indicativa dei due testi, ecco le riflessioni:
Pathos
La passione. La spinta o la motivazione che in molti romanzi fa agire i personaggi. Questa, assieme alla volontà dei protagonisti di dare un senso alla propria esistenza, accomuna in un primo momento i due uomini.
Da un lato abbiamo il tenente Giovanni Drogo, soldato assegnato alla Fortezza Bastiani. Quando si rende conto di non poter fare carriera alla Fortezza chiederebbe istintivamente un trasferimento, ma un pensiero lo assale e lo fa desistere. “Qui invece avanzava la notte grande delle montagne, con le nubi in fuga sulla fortezza, miracolosi presagi. E dal nord, dal settentrione invisibile dietro le mura, Drogo sentiva il proprio destino.” dice Buzzati, parlandoci proprio di presagi e destini. È un richiamo che trascende e che lega Drogo alla Fortezza, un sentimento difficilmente spiegabile e una passione a pochi intuibile.
Dall’altro lato c’è invece Gustav von Aschenbach, professore erudito e chino sul proprio lavoro. Da un certo punto di vista è talmente assorto nelle sue faccende da considerare l’impulso di fuga, un “desiderio smanioso di liberazione, di sgravio e di oblio”, ma infine ne viene avvolto completamente e cede ad una voglia di viaggiare “insorta come un accesso morboso, ed esaltata fino alla passione, anzi fino all’illusione dei sensi”. A differenza di Drogo finisce perfino per innamorarsi della giovinezza stessa, altra profonda passione che lo porterà allo stremo: “non aveva più altro pensiero che inseguire senza requie l’oggetto della sua passione, sognare di lui quando era assente”.
Tra l’ambizione di fama e grandezza e la nostalgia per la giovinezza (interpretazione blanda del desiderio di Aschenbach) c’è una differenza abissale. Ma una passione rimane una passione e quindi questo bramare ha lo stesso identico effetto. Brucia. Arde. Infiamma il cuore e fa dirigere il pensiero in un’unica direzione.
Kronos
Il Tempo: l’elemento chiave che accomuna maggiormente le due opere.
Si potrebbe rischiare di parlare della ciclicità del tempo: di come Aschenbach voglia ritornare alla sua giovinezza per riprendere tutto da capo o di come Drogo si renda conto di aver vissuto la propria vita solo per prendere il posto al capitano Ortiz e indirizzare un altro giovane tenente, proprio come lo era stato lui, alla Fortezza. Queste riflessioni preferisco solo accennarle e parlare invece del tempo stesso.
Lo scorrere inesorabile di un tempo senza pietà è contraddistinto nelle due opere da un piccolo espediente letterario. “Poi, vicino, un flaccido ploc d’acqua, che si propagò per i muri”, un ‘ploc’ che altro non è che il gocciolare dell’acqua nella cisterna posta tra le mura della Fortezza e che col tempo finirà per confortare il sonno del tenente Drogo. Questo ‘ploc’ si contrappone a una paragrafo apparentemente privo di importanza che tuttavia Mann inserisce quasi appositamente: “Nella casa dei suoi genitori, molti anni prima, c’era una clessidra…egli rivide a un tratto quel piccolo strumento, così fragile e così importante, come se gli stesse dinanzi; fine e silenziosa scorreva la sabbia color ruggine attraverso la strozzatura del vetro”.
Solo con lo scorrere del tempo abbiamo l’Attesa, che paradossalmente diventa una immobile forza motrice nei due libri. L’angosciosa attesa di un avvenimento che si ha la consapevolezza possa anche non arrivare: per quanto riguarda il soldato si parla dell’attesa di un nemico che sembra inventato mentre lo scrittore viene turbato dalla bellezza del giovane Tadzio, canone secondo lui di perfezione. Tipi di attese decisamente diversi che provocano lo stesso impatto: uno struggersi interiore che non concede nemmeno un attimo di tregua.
Si può benissimo dire che nella maggior parte dei romanzi il tempo sia un elemento fondamentale; non vi è nulla di innovativo. È interessante tuttavia osservare come questi due protagonisti subiscano lo stesso effetto dopo il passaggio del tempo: la Sconfitta.
Thanatos
La Morte: quale conclusione più adatta se non il fine ultimo? Mann descrive Venezia come “beltà lusingatrice e ambigua”, analogia applicabile in fondo, forse con una certa ammarezza, anche alla vita in senso generale.
Da un punto di vista si potrebbe anche dire che entrambi i romanzi finiscono allo stesso modo: i protagonisti, privati del loro oggetto di desiderio, non hanno più nemmeno l’ossigeno che alimenta la fiamma della loro esistenza. Tuttavia è il modo di affrontare tale finale a cambiare. Aschembach, ormai malato, seduto in spiaggia, vede per un ultima volta Tadzio e “come tante altre volte, volle alzarsi per seguirlo”, ma si accascia sul fianco e con un ultimo paragrafo Mann pone fine alla sua vita fittizia. Buzzati invece preannuncia la morte in una maniera più poetica: “La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po’ il busto […] poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.” La differenza principale sta nell’accogliere la Morte: nel primo caso viene sminuita e naturalizzata, nel secondo viene invece personificata e attesa come una vecchia amica.
Non importa se il desiderio è la fama, la giovinezza, o qualsiasi altro capriccio si possa ideare; Thanatos, eterno, attende pazientemente tutti quanti. Quando la folle e spensierata corsa chiamata vita finalmente viene ‘vinta’, sarà Lui a consegnare il premio.
Nel reame delle possibilità
Mentre Drogo si sta ammalando, il dottore della Fortezza gli dà un consiglio: “Prenditi una licenza, va a riposarti, ti farebbe bene una città di mare.” Siamo lettori, in quanto tali ci è permesso navigare con la fantasia, elaborare casi ipotetici.
Se ci immaginassimo dei finali alternativi? Se Drogo avesse dato ascolto al medico? Se avesse scelto come città di mare proprio Venezia? Se per caso durante il suo soggiorno avesse trovato un certo professor Aschenbach? E se per caso ne fosse nata un’amicizia risanatrice e benefica per entrambi?
La letteratura non è solo ciò che vi è scritto; il non-detto ha un ruolo molto importante ed è utile ricordare che i lettori stessi fanno parte di quel non-detto. Sono le interpretazioni personali date solo l’atto stesso di lettura a dare vita all’opera di un autore.