Mi chiamano il Visconteo, proprio come il famoso duca che mi fece costruire d’altronde; sono ormai più di seicento anni che resto qui, immobile, paziente, ad osservare e proteggere i miei dintorni. Sia chiaro, io sarò anche saldamente conficcato in questo luogo, ma tutto attorno a me è puro movimento e vitalità. È la bellissima frenesia e animosità delle persone che mi hanno percorso per questo lungo tempo e la perpetuità della natura che ciclicamente ha vissuto e continua a vivere di fianco a me. Nonostante la mia lunga esistenza, non vi fate ingannare da quello che vi vorrei narrare sulla mia robustezza; sapete, anche io ho avuto i miei momenti difficili. Non è facile per un ponte resistere all’erosione degli elementi funesti e alla violenza delle guerre nefaste, ed è pur sempre grazie alle persone sono ancora qui. Però non mi voglio dilungare troppo sulla storia; per me sarebbe fin troppo facile narrare per anni le mie vicende, il mio passato, e di chi mi ha passato, ma la generazione di oggi è troppo impaziente. Vi basti sapere che sono stato eretto per volontà di un certo Gian Galeazzo, mio padre ed ingegnere fu un certo Domenico da Firenze e facevo parte del Serraglio Veronese; badate che non si trattava di una squadra di calcio, bensì di una fortificazione imponente edificata dagli Scaligeri. Ero parte di una linea di difesa eretta per proteggere i veronesi dalle incursioni mantovane e milanesi, ma ecco che torno alle vecchie abitudini e riprendo a parlare di storia. In parte deviavo anche l’azione dell’acqua del Mincio che oggi più che mai scorre pacifico accarezzando Borghetto. Una delle mie gambe, per capirci, è proprio fermamente affondata in questo fiume e posso dirvi che d’inverno sento tutto il freddo gelido dell’acqua, ma questo sarà anche per via delle mie protesi fatte dagli uomini. Sapete, nel 1701 una parte di me è stata distrutta dalle truppe francesi; fortunatamente, con supplementi in ferro, sono tornato più forte che mai e ora sorreggo tutte le macchine che giorno dopo giorno mi passano sopra. Ma ora basta con la mia storia, vediamo piuttosto ciò che mi circonda.
Alla mia sinistra, posso vedere lì verso l’alto il castello scaligero di Valeggio, uno spilungone che torreggia sulla sua collina e guarda il mondo dall’alto verso il basso. Certo, avrà anche un centinaio di anni in più di me, dovrei forse mostrargli rispetto, ma è stato sottoposto a così tanti restauri da sembrare quasi finto. Guardante che non sono mica invidioso! Poi poveretto, è così in alto da non sentirmi neppure, e data la sua posizione pochi sono i turisti che ci arrivano; io invece vengo attraversato di continuo. In lontananza, ancora più a sinistra, sento sempre il cantare degli uccellini; molti di loro si sono fatti il nido negli alberi del Parco Sigurtà. Che dolci melodie.
Come ho già accennato sotto di me scorre il Mincio, che a poche decine di metri arriva a bagnare i bordi di Borghetto. È su questo piccolo insediamento che io sorveglio da centinaia di anni. Fortunatamente oggi non ci sono più pericoli anche perché è diventato semplicemente un posto dove uscire per un gelato, farci una passeggiata e fermarsi ad ammirarne la bellezza.
Il borgo di per se è di una tranquillità sorprendente; molti dei passi leggiadri dei passanti io stesso faccio fatica a distinguerli per via dello scrosciare continuo delle ruote dei mulini, alcuni dei miei migliori compagni. È stata la loro musica che mi ha accompagnato durante questi lunghi anni. Alcuni di loro hanno protesi artificiali come le mie, d’altronde sapete, il legno nell’acqua dopo un po’ inizia a soffrire di brutti reumatismi. Molte delle case antiche ormai sono diventate delle locande che accolgono calorosamente i clienti; io sento di continuo le voci dei bambini ringraziare per il gustoso gelato o chiedere di continuo di fermarsi per la pizza. Nonostante questo rinnovo della zona, vi posso assicurare che molte delle pietre che si trovavano lì al tempo della mia nascita, sono rimaste lì, certo forse ora sono un po’ più piccole, d’altronde dai abbastanza tempo al vento e all’acqua e potrebbero persino divorare un colosso come me. Comunque le case mantengono ancora quella modestia esteriore che ho sempre visto; è il loro interno che si è stato adeguato ai tempi.
Infine non posso non parlare del mio fratello più piccolo, un ponte in legno che permette di attraversare i due lembi di terra che formano Borghetto; alla fine di questo si estende verso lo volta celeste una sequoia magnifica. Devo dire, non poco imbarazzo, che è persino più alta di me. Nel periodo natalizio mi permette di fare il mio lavoro da guardiano anche di notte: migliaia di piccole luci decorano l’albero da cima a fondo, scaturendo il loro bagliore sul borgo infreddolito. Non vi posso nemmeno dire quante sono le foto che vengono fatte durante questo magico periodo.
Comunque sia, sono fiero del fatto che il mio braccio sinistro scenda verso Borghetto da una parte, mentre quello destro si ricongiunge con la strada a ovest segna il limite dell’insediamento; così so sempre che posso custodire nel mio abbraccio il mio piccolo lembo di paradiso. Forse sto parlando troppo e mi sto buttando in troppi sentimentalismi, ma d’altronde è sempre qui che viene narrata la legenda del nodo d’amore; la storia della ninfa Silvia e del capitano Malco, perseguiti per il loro amore. Fu solo grazie ad una metamorfosi ovidiana che i due riuscirono a scappare nelle acque del Mincio, lasciandosi alle spalle solo un fazzoletto di seta dorata, un fazzoletto che d’altronde viene festeggiato e ricordato tutt’oggi come un prelibato tortellino. A proposito di storie d’amore, è tutta questa mattina che sento riecheggiare una delle più antiche campane dell’area veronese, più o meno una mia coetanea. È il 27 settembre e da quello che sento si sta celebrando un matrimonio nella chiesa di San Marco Evangelista. Hmm, ho sentito i nomi Valentina e Gianluca; altre due persone che hanno vissuto dei momenti nel borgo che proteggo e che lo ricorderanno calorosamente. Auguriamo loro il meglio e per ora chiudiamo questo capitolo.