Considerate questo articolo come un breve compendio di consigli, frutto di esperienza personale e prodotto di confronti e diatribe con compagni universitari; si tratta di consigli accademici in quanto hanno a che fare con la vita universitaria, tuttavia meno accademici considerando come sono ‘buttati giù’.
Se avete già stabilito la strada da prendere e avete un piano dettagliato in ventisette-punto-tre passi per arrivare alla carriera dei vostri sogni, ci sono discrete possibilità che già a questo paragrafo non stiate più leggendo. Queste osservazioni possono servire più per gli indecisi, sia quelli coraggiosi e pronti ad affrontare le sfide della propria facoltà che quelli timorosi di sbagliare, per quelli che si chiedono se abbiano scelto la facoltà giusta e sia per quelli convinti di aver iniziato il percorso sbagliato. È una domanda che fin troppo spesso ci si pone; nella mia prospettiva il primo anno servirebbe di più per capire le possibilità che le facoltà offrono. È vero, da un lato ci sono di mezzo le tasse e le questioni economiche e dall’altro il fattore tempo [soprattutto considerando lavori che richiedono dieci anni di esperienza nel settore assieme ad una laurea magistrale compiuta ai 21 anni], ma obbiettivamente parlando è impossibile conoscere tutti i corsi e i professori di una facoltà da un mero dépliant. Per questa ragione una cosa che voglio ricordare è la seguente:
C’è tempo per cambiare!
Avete fatto un anno e non vi sentite realizzati? Non dovete dannarvi l’anima, compiere fatiche erculee e compromettervi le facoltà mentali perché ormai “dovete finire”. Quello non sarebbe il modo indicato per approfondire il campo del sapere che vi interessa e vi piace. Viviamo in un mondo fondato sul principio di informazione incompleta, quindi, a mio avviso, si può sbagliare, cambiare, sbagliare un’altra volta e cambiare ancora. Accenno a questo principio non a caso, dato che il secondo consiglio è: guardatevi attorno, informatevi e soprattutto
Parlate!
Gli insegnanti non sono dei T-1000 inarrestabili (citazione forse troppo vecchia ormai) che tornerebbero persino indietro nel tempo per potervi bocciare agli esami. Per lo meno non tutti… diciamocelo, occasionalmente alcuni sembrano proprio avere una faida con noi. Tuttavia hanno affrontato il loro percorso come noi e hanno dato esami come noi. Parlate con loro: non potete immaginare gli spunti che vi potrebbero dare, magari le collaborazioni che potrebbero proporvi o i mondi svelati che non contemplavate nemmeno. E forse meglio se simili discussioni possono essere accompagnate da qualcosa da bere, il Birrozzo della Conoscenza insomma.
Non dimenticate di parlare pure con i vostri compagni, che sono sicuramente nella vostra stessa barca, quella che di tanto in tanto vi potrebbe sembrare la zattera della Medusa; o per attualizzare, ormai, la nave di Schettino. Sicuramente hanno qualche informazione utile che ignorate.
Il parlare che implicavo sopra era di carattere inquisitivo. Dicasi anche qui pro quo, quindi fate anche il contrario:
Condividete!
Condividete la vostra passione! Che sia essa comune, unica, stramba o blu! Che si tratti di filatelia o di guardare la vernice asciugarsi su di un muro, di sicuro su più di sette miliardi di persone a questo mondo, qualcuno avrà quella stessa passione. Se è qualcosa di particolare forse non troverete quel qualcuno nella città della vostra facoltà, ma viviamo in un mondo talmente tecnologico che dovrebbero bastare pochi minuti on-line per trovare una comunità, per quanto piccola che sia.
Un’altra cosa importante che dovrei sottolineare con una decina evidenziatori diversi (sono sicuro dell’esistenza di un arcano legame tra colori shocking e gli appunti che però non indagherò ora):
Progetti, progetti, progetti!
Sono molte le attività proposte dalle accademie, molte le conferenze, e molte le iniziative; non moltissimi i fondi – non è mica una banca del Monopoly – ma questo è un altro discorso. Insomma, collegandomi anche ai punti precedenti, iniziate ad informarvi sulle opportunità che vi vengono concesse quotidianamente. Leggete quelle mail con le quali le facoltà continuano a tampinarvi! Un motivo ci sarà! Questa riflessione mi porta ad una ulteriore considerazione, una lezione se vogliamo, che la facoltà insegna con tale perseveranza:
Arrangiatevi da soli!
È una verità parziale, ma fa pur sempre comodo tenerla a mente. Tra problemi organizzativi, questioni pratiche e un numero esorbitante di studenti da gestire, per quanto la facoltà garantisca molte opportunità per il sapere, non è la nonna Pina che al mattino vi ricorda caldamente che è l’ora di alzarsi o che vi prepara la peperonata all’ora di pranzo. Considerate la facoltà più come lo zio Beppi, un brontolone che vi vuole bene per forza di cose (in fondo è grazie anche ai vostri soldi che resta a galla) ma che non vuole esplicitarlo più di tanto. Insomma dovete fare un po’ da soli in questo caso! Ormai il tempo nel nido l’avete già fatto ed è l’ora di distendere le ali e spiccare il volo.
Ultimo consiglio che può sembrare facile a dirsi e meritevole di insulti:
Non prendetevela!
Cercate di farvi scivolare addosso molto di quello non va bene. Se Murphy ci assicura qualcosa è che se qualcosa può andare storto, andrà storto, quindi perché farsi cogliere dall’ansia, piangere, o urlare come se steste per diventare super sayan di terzo livello? Farete male a voi stessi e basta, quindi prendetela con calma, passo dopo passo, e vedete ogni nuovo giorno cosa vi propone.
La mia riflessione finale riguarda la situazione in parte stagnante dell’università. Se continuiamo ad affrontarla come una ripetitiva serie di esami che “dobbiamo” dare con una serie di informazioni che “dobbiamo” imparare a memoria perché “dobbiamo” cercare un lavoro il risultato finale sarà di fomentare questa situazione. Idealmente il primo anno di università dovrebbe essere di prova; non dovrebbero esserci esami, scelte, tasse o impedimenti di qualsiasi forma. Dovrebbe essere un anno di Riflessione, di Formazione Personale e di Crescita. Questa realtà utopica di cui vi sto parlando, questa forma di università Free-to-Play è contrastata però da una triste realtà che per l’analogia impiegata potremmo chiamare una Pay-to-Win, dove una università fondata sul principio del pappagallismo ci impone di pagare con il nostro stesso interesse per un ramo del sapere e con la nostra stessa passione per ricevere in cambio un pezzo di carta che forse sarà in grado di dare un lavoro. Questa è chiaramente una provocazione, ma serve anche come sprono per aprire gli occhi, per applicarci e trovare un modo migliore, per modellare questa stradina sterrata di campagna che identificheremo come percorso accademico in un’autostrada a venti corsie con i limiti di velocità della Germania.