Ciò che segue è l’abbozzo di alcune riflessioni sulla lettura e sulla letteratura; nulla di troppo serio, solo alcuni pensieri di carattere generale. Giusto per cominciare il lunedì con qualcosa di diverso.
Una domanda che mi sono ritrovato alcune volte a farmi è quando si può dire di aver letto bene un libro? Certo la definizione di ‘bene’ potrebbe essere alquanto labile: è forse quando si conosce la trama a menadito, quando si riesce ad apprezzare le sfumature dei singoli personaggi, oppure quando lo si può confrontare con altri libri del suo stesso stampo e farne un’analisi? Secondo me queste cose vogliono dire un po’ tutto e un po’ niente.
Ci si potrebbe chiedere persino se sia importante conoscere la vita dello scrittore per effettivamente poter cogliere dei particolari che altrimenti passerebbero inosservati. Si potrebbe persino speculare sull’importanza di conoscere il quadro storico culturale per avere una ottica critica superiore e riuscire a intravedere sfumature ancora più complesse. Tutto questo va benissimo, soprattutto se viene considerato un approccio più accademico e introspettivo, ma nella mia ottica limitata è alquanto superfluo. L’importante secondo me è di riuscire ad apprezzare il libro da un punto di vista personale, al di là di qualsiasi criterio: nella soggettività non importa che il libro sia un capolavoro della letteratura oppure un racconto letto da tre persone in croce, scritto seguendo lo stile canonico (non ampliamo il discorso sul cosa voglia dire canonico) della narrazione oppure abbozzato su dei fazzoletti (Pessoa docet). L’importante per la vita (non editoriale) di un libro è che piaccia a qualcun che non sia lo scrittore che l’ha scritto. Secondo me, e questa è una teoria che ho forse ripetuto troppo spesso, una volta che l’opera è stata scritta dovrebbe essere vista come una entità a sé; il ruolo dello scrittore si è già compiuto.
Avevo iniziato questo sproloquio riferendomi a quando si può dire di aver letto bene un libro e ora siamo ancora più lontani dal nocciolo della questione in confronto a prima. Torniamo al dunque dicendo che probabilmente, da quello che intuisco, è impossibile aver letto bene un libro se lo si è letto una sola volta. Con ciò non voglio dire che non lo si possa apprezzare, tutt’altro; voglio comunque ipotizzare che già ad una seconda lettura (data la conoscenza acquisita dalla prima) ci si può avvicinare in un modo diverso al libro stesso. Si tratta di un atto di volontà da parte del lettore per approfondire un libro che ha già letto; corrisponde alla volontà di apprezzare ulteriormente uno scritto che già si conosce. Certo, possiamo dire che ci sono diverse categorie di libri, e rileggere un libro come Assassinio sull’Orient Express difficilmente potrebbe avere lo stesso impatto dato che si conosce già il colpevole; questo comunque è un punto che va al di là di quello che stiamo dicendo.
La volontà da parte del lettore per approfondire il libro potrebbe, ma non è necessario, combaciare con delle sfumature aggiuntive che lo stesso riesce a cogliere nella rilettura. Si può trattare o di un cambiamento radicale della prospettiva del lettore, cosa forse rara, oppure di un ampliamento della stessa. A mio avviso questo cambiamento però non è da ricercare solamente nella rilettura del libro: un individuo, in base al periodo della propria vita nel quale legge il testo e in base alle esperienze che ha vissuto può contribuire al cambiamento della prospettiva risultante dalla rilettura. In altre parole, ogni esperienza che viviamo può in qualche modo incidere sul nostro modo di leggere un libro.
A questo punto, se concordiamo che vari momenti della nostra vita avranno un impatto diverso sulla percezione del testo, io mi azzarderei a dire che per leggere bene un libro, lo stesso dovrebbe essere letto in ogni istante della propria vita. Ovviamente questa è una soluzione nulla in quanto risulta una esagerazione poetica ma poco pratica. Da un punto di vista idealista è forse bello da immaginare, ma no da un punto di vista concreto. Voglio comunque concludere questa serie di riflessioni, forse un po’ sconnesse tra di loro, indicando dei personaggi della letteratura che secondo me possono affermare di aver letto bene un libro e questi si possono trovare nel finale di Fahrenheit 451 di Bradbury. Questa riflessione idealizzata e poetica è dovuta al fatto che i veri protagonisti che sopravvivono nel libro di Bradbury, onde evitare di perdere il patrimonio letterario divorato dalle fiamme dei pompieri, memorizzano il loro libro preferito. Questo atto di internalizzazione fa sì che il personaggio letterario si tramuti in un libro completo; loro hanno letto talmente bene un libro da diventare il libro stesso. Riflessione che forse si potrebbe considerare un po’ banale ma che spero che vi abbia quantomeno strappato un sorriso.