Recentemente ho avuto il piacere di fare una intervista ad un ex-istruttore di tiro con l’arco che per i fini di questo articolo verrà chiamato Signor Archer. Nei seguenti paragrafi, in base a quello che mi e stato riferito ed anche a varie chiacchierate, voglio accennare alcuni degli aspetti di questo sport che ho ritenuto interessanti.
Il Signor Archer ha insegnato tiro con l’arco per vent’anni della sua vita, ha lasciato lo sport per un altro ventennio per dedicarsi ad altre attività e ora ha deciso di tornare alla sua passione. Per questo motivo, uno dei primi punti che ho voluto affrontare erano le principali differenze tra l’allora e l’adesso. In primis abbiamo parlato della differenza d’età: mentre ai suoi tempi c’era una maggioranza di trentenni e pochi casi di cinquantenni e sessantenni, ora sono molti più i giovani che vengono attratti da questo sport. Denota comunque che ci sia stata una certa evoluzione tecnica del tiro con l’arco e conseguentemente anche il modo in cui questo viene percepito. Tuttavia non ci prolungheremmo su ciò che riguarda il regolamento, quindi i punteggi e le distanze, sui tipi di arco e frecce utilizzati o sugli enti principali che gestiscono le gare in quanto queste informazioni di carattere tecnico sono facilmente reperibili.
Una cosa che bisogna ricordare è che si tratta di uno sport asimmetrico; in altre parole, data la postura e l’uso dominante di certe parti del corpo, lo sviluppo muscolare avviene in una maniera sbilanciata. Per questo è consigliato abbinare al tiro con l’arco un altro sport, come ad esempio il nuoto, per favorire uno sviluppo armonico del corpo ed evitare dolori muscolari o ulteriori complicazioni. È sempre buona prassi fare stretching e seguire un allenamento ginnico mirato. Un buon istruttore inoltre, in base alla lateralità dell’individuò, saprà come consigliare lo studente e come indirizzarlo non solo nella scelta dell’arco adatto, ma anche nell’allenamento da seguire.
Uno dei punti spinosi che abbiamo affrontato assieme consiste nel riscontro della mentalità competitiva del genitore. Questi si aspetta che il figlio o la figlia, nel giro di pochi mesi, raggiunga già un certo livello di preparazione o addirittura sia già in grado di competere a gare anche di un certo spessore. Per quanto è vero che il tempo medio per apprendere la tecnica si aggiri tra sei mesi ed un anno, il Signor Archer assicura che sta soprattutto alla mentalità e alla passione dell’individuo continuare questo sport e raggiungere in maniera graduale livelli sempre più alti. È importante sottolineare questa gradualità in quanto, come del resto in tutti gli altri sport, sono in primis la costanza e la dedizione a far crescere lo sportivo e contrassegnare i miglioramenti.
Proseguendo in vari discorsi con il Signor Archer, siamo arrivati a toccare alcuni punti della filosofia orientale che considero interessante riportare e che si potrebbero applicare al tiro con l’arco. Non voglio entrare nell’arte nipponica del kyudo, anche perché richiederebbe una ricerca ulteriore che ora andrebbe oltre le mie competenze, e forse anche una lettura veloce del libro di Herrigel (forse lo considererò per un futuro articolo). Tuttavia il mondo giapponese ha una interessante filosofia del cosiddetto ‘vuoto’. Per ridurre all’osso un concetto molto più complesso (chiedo già anticipatamente scusa per questo sunto), in un certo senso si parla di ‘vuoto’ quando un’artista o uno sportivo arriva ad una maestria tale della sua arte, ricavata solo da un esercizio costante, che il suo corpo diventa un semplice vascello. In parole più povere, il corpo del maestro diventa un semplice tramite per compiere l’arte. Il Signor Archer ha accennato in varie battute ad un esercizio costante che porta l’arciere ad un certo tipo di automatismo: si arriva ad una percezione del bersaglio senza però pensare ad esso. Ci si dimentica, o meglio ci si libera, della necessità dell’autoaffermazione. La vera soddisfazione arriva con il sentimento del ‘tiro corretto’; in altre parole colpire il bersaglio non è il fine ultimo del tiro con l’arco e non è nemmeno ricercato, ma diventa tale mediante questo tipo di automatismo. In base a quello che ho detto poco prima sul senso del ‘vuoto’ nipponico, questa mi sembra una correlazione valida ed interessante tra due mondi alquanto distanti tra di loro. La filosofia di base rimane la costanza e la dedizione per lo sport e il risultato diventa il compiersi stesso del tiro con l’arco.
Con questa ultima riflessione, sperando di avervi fatto piacere e ringraziando ancora il Signor Archer, vi auguro una buona giornata. Ci vediamo al prossimo articolo.